Pubblichiamo questa provocante recensione di Ezio Albrile.
"Le incursioni dei
Subsonica nella profetologia metropolitana e nelle visioni della fine iniziate con
Incantevole, continuano ne
La glaciazione e nel relativo videoclip. Questa volta l’interesse della prolifica band torinese è più cosmologico: il brano è a suo modo un inno al «vuoto», nella duplice percezione di vuoto del tempo e di vuoto del mondo, assoluta e relativa. Di per sé nulla esiste, secondo un adagio di certo buddhismo zen fatto proprio anche dal Battiato nazionale. (
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È l’idea di (s)unyata che fa dell’esistente un «vuoto»: uno degli gnostici più antichi, certo Basilide dalla sua Alessandria d’Egitto lo chiamava in greco ouk on, il «non-essente» (quindi, non c’è bisogno di andare in India…). Questa è la vacuità assoluta che cancella il tempo nel suo fluire aionico (nel senso greco di Aion, Saeculum, Eternità) e contrae l’universo in un attimo puntiforme e “spermatico”. Il vuoto ha però un suo riflesso relativo: è il vuoto del mondo e degli automatismi cui è soggetto l’uomo nella quotidianità. È la banalità dell’esistente che è plasticamente narrata nel videoclip de “La glaciazione”: una monotona sequela di atti di una famigliola anoressica su un ancor più monotono camper. È quello il «vuoto che esploderà» nell’attesa della fine. Una nota stilistica: il tutto fa affiorare i ricordi apocalittici di grandi band italiche quali furono i Corvi (Quando quell’uomo ritornerà) e dei Litfiba (i primissimi degli anni ’80). I tempi ultimi e il loro legame con il sopraggiungere di un’eclissi finale, fanno parte di un immaginario che è usuale definire “archetipico” e che nella nostra cultura ha come punto di riferimento le visioni di Giovanni nell’isola di Patmos. Pochi sanno che il precedente illustre di queste visioni terminali, escatologiche, sta in un’apocalisse zoroastriana, lo Zand i Wahman Yasn, un testo nella sua versione originaria molto antico. Una prima volgarizzazione in greco di questo testo è nei cosidetti Oracoli Sibillini, una serie di profezie apocalittiche attribuite al sentire uterino della Sibilla, ma che con la Sibilla hanno poco a che fare. In seguito un Padre della Chiesa, Lattanzio, ne divulga nelle sue opere un ulteriore centone che prende il nome di Oracoli di Hystaspe, forse il testo che qualche secolo prima ha ispirato Giovanni…".